venerdì 11 dicembre 2009

"leggere il futuro"

Ho trovato che una delle abilità che noi precari sviluppiamo maggiormente è di essere sensibili ai segnali rispetto al futuro. Questo è ovvio se ci si pensa, per certi versi si tratta di sopravvivenza della specie. Sapere che le cose andranno bene o male ci permette di provare disperatamente ad intraprendere nuove strade. Che poi queste si rivelino buone o meno è un altro discorso.
Personalmente ho trovato che il modo migliore per chiedere ad esempio ad un superiore, o in generale qualcuno che è più vicino di noi alla zona dove si prendono decisioni (che riguardano anche noi), è quello di porre la seguente breve domanda: novità?
A questo punto sfrutteremo l'effetto riempimento che le persone utilizzano automaticamente per rispondere. E' ovvio che è una domanda aperta e che può essere riempita come si vuole da parte del nostro interlocutore. Se si tratta di una donna, giovane e in età da aver figli ad esempio ci potrebbe rispondere di essere incinta. Allora le faremo complimenti ecc. Ma, se, come ho notato che accade, questo superiore ha di fronte noi (che abbiamo l'alone della precarietà scritto in faccia) allora la risposta riguarderà inevitabilmente ciò che si aspetta che noi ci aspettiamo: la condizione di lavoro. E state pur certi vi fornirà notizie, buone o cattive che siano questo è un altro discorso.

sabato 28 novembre 2009

Vecchiaia? No grazie, non posso: sono precario!

L'altro giorno parlavo con un collega di uno dei due lavori che faccio. Lui è dipendente. Si parlava di lavoro e gli chiedevo come si sentisse a 45 anni lavorativamente parlando. Da notare che occupa un posto dirigenziale in un'azienda pubblica e guadagna decisamente bene.
Mi risponde che si sente un uomo di mezza età che comincia a guardare alla pensione. Caspita, questa risposta mi ha spiazzato. Ho pensato che forse è dopo i 40 che ci si sente così allora gli ho chiesto quando avesse comnciato a sentirsi un uomo di mezza età. Mi ha risposto dopo i 30, verso i 35. Il chè non fa una grinza dal punto di vista aritmetico: il doppio di 35 è 70. Ha ragione lui mi son detto.
E pensare che io ho 39 anni e ancora guardo alla mia adolescenza come fosse ieri. Ma solo coi ricordi per carità, non coi contenuti. Mi sembra ieri che iniziai a studiare all'università, e poi riguardo al giorno della laurea (11 dicembre 1996) e guardo a ieri pensando alle speranze di trovare un lavoro stabile (!).
Ma io mi sento ancora così: nutro ancora la speranza (che è realmente l'ultima a morire) di trovare una sistemazione...
E poi ho pensato "che bello, io non mi sento un uomo di mezza età, sono ancora un giovanotto anche se i prossimi sono 40".
Effettivamente il precario non può permettersi di invecchiare.
Beata precarietà (parafrasi di beatà gioventù).

lunedì 16 novembre 2009

Una illuminazione sulla condizione di noi tutti avvenuta in un primo pomeriggio uggioso

Tutti lo usano e ovviamente tutti ne abusano del termine “precario”. Io pure. Allora oggi mi sono voluto togliere lo sfizio di cercarne l’origine per vedere se il significato col quale lo utilizziamo corrisponde alla sua origine. E…sorpresa!

Precàrio= lat. PRECÀRIUS da PRÈX preghiera (v. Prece): propr. Ottenuto per preghiera.

Che si esercita con permissione, per tolleranza altrui; quindi Che non dura sempre, ma quanto vuole il concedente; e per estens. Che ha poca durata; Temporario, Non stabile.

Deriv. Precariamente, Precarietà.

Rivelazione numero uno: siamo tutti precari. La nascita fa necessariamente di noi esseri precari (dipendiamo sempre da qualcuno). L’errore è arrivato quando il termine precariato è stato collegato con il termine lavoro. Da questo punto di vista alcuni sono solo un po’ più precari degli altri, o meglio sono certamente più precari nell’ambito lavorativo ma non di certo in quello esistenziale. E anche questo non è certo poiché se sono temporaneamente precari potrebbero anche non esserlo in un momento successivo poiché non c’è nulla di più precario del concetto di temporaneità. Poi potrebbero ridivenirlo e così via all’infinito. Come tutti in pratica.

Ma allora essere precari come siamo soliti intendere questo termine, ovvero lavorativamente parlando, è secondario. Ciò che è primario è che tutti moriremo. In questo senso siamo tutti precari. La tolleranza altrui la si potrebbe attribuire a Dio (per i credenti) o alla Biologia (per i credenti nella biologia). In pratica nel precariato il libero arbitrio non è contemplato poiché dipendiamo comunque da qualcuno che con tolleranza ci permette, ma solo per un tempo non infinito, di fare qualcosa. Ecco perché siamo tutti precari e chi lo è lavorativamente lo è solo in un settore ma magari vive più a lungo di quel tizio che a 18 anni aveva il lavoro meno precario del mondo (becchino) e a 19 morì. Al contrario, il suo collega (collega di razza umana) che a 18 anni era precario, a 30 ancora, a 40 decise che nonostante era ancora precario di sposarsi ed ebbe due figli e a 60 anni ancora si domandava quando avrebbe avuto un lavoro definitivo e morì a 102 anni compilando il suo ricco curriculum pieno zeppo di esperienze lavorative utilizzando Office 1000 di Windows Vista la prima è meglio la seconda…mi sono perso. Insomma il fatto è che questo ultimo fu un po’ meno precario di vita poiché visse 83 anni di più di quello che aveva un lavoro meno precario.

La rivelazione numero due è la più importante ed è quella che ribalta la faccenda. Se il precario è colui che dipende dalla tolleranza altrui, allora lavorativamente parlando non avendo il precario nessuno da cui dipendere (per definizione il precario non è un dipendente) allora il precario è l’unico che può esercitare il libero arbitrio. E questa è davvero una bella notizia.

giovedì 5 novembre 2009

Creatività

Una delle abilità che maggiormente sviluppiamo noi precari, lavorativamente parlando, è la creatività.
Essere sempre sul filo del rasoio, essere di quà ma vedere in continuazione "l'al di là" è una situazione adrenergica.
La mente è continuamente al lavoro per vedere come riuscire a cavarsela, il cervello calcola ipotesi con gradi diversi di probabilità. I processi decisionali sono sempre in opera.
L'ansia così come lo stress sono quelli definiti di "tipo buono", quelli che ti preparano, di fronte al leone ad attaccare o scappare. Noi precari siamo costretti ad attaccare. In pratica siamo combattenti.
E poi vuoi mettere la soddisfazione di riuscire a non fare la fine del topo!!!

Coraggio, creatività, salute, c'è di che essere orgogliosi ad essere precari.

sabato 31 ottobre 2009

Il precario gode di ottima salute

Sono le 19 e 17 di sabato.
Sto ancora lavorando, a casa moglie e bimbi mi aspettano. Stasera c'è Halloween: serata da mostri. Anche la mia salute è da mostri. E siccome assolutamente credo nell'origine psicosomatica delle malattie riesco a spiegarmi perchè la mia salute è mostruosa: mai raffreddori (e se solo accennano ad arrivare in due giorni mi salutano), mai febbre, mai una frattura.
E' la psicologia che mi cura, se mi ammalassi non avendo malattia pagata (così come ferie, ecc.) non potrei lavorare e quindi di conseguenza guadagnare.

Insomma un altro aspetto positivo del precariato: la salute.

p.s. ora che mi sovviene un paio di settimane fa non stavo per niente bene, sarei rimasto a letto volentieri. Però mi sono alzato e sono andato a lavorare, in serata stavo già meglio. Quindi qualche altra causa deve concorrere alla salute.

venerdì 30 ottobre 2009

Il naturale senso di instabilità

E' sin troppo semplice dire che tutto è precario.
Di fatto la vita è precarietà nel senso di instabilità naturale.
Per certi versi rendersi conto di essere precari ci rende più elastici, resilienti e capaci di adattarci alle situazioni. E' un pò come se ad un certo punto ci si rendesse conto, col passare del tempo, che in realtà ogni cosa è possibile ed è il presunto senso di stabilità ad essere ingannevole.
Credo, ma è solo una mia idea, che in parte sia dovuto al senso di immortalità che ci accompagna, altrettanto fallace quanto quello di stabilità. O forse è la paura di usare la creatività per trovare nuove soluzioni.
Ad un certo punto, dopo aver rincorso la stabilità ed uscendone frustrato, ho capito che la condizione nella quale mi muovevo meglio, nella quale riuscivo a nuotare senza aver bisogno di salvagenti era proprio quella delle incertezze. E questo mi ha fatto pensare che anzichè essere un handicap potesse diventare un'abilità da percorrere e rafforzare.

giovedì 29 ottobre 2009

La gentilezza del precario

Tendenzialmente noto che sono gentile. Soprattutto sul lavoro. Tendo ad andare d'accordo con tutti. Cerco di appianare divergenze, evito scontri, sono accomodante. Adesso si potrebbe pensare che sia dovuto al fatto che il mio temperamento sia di questa specie. Può darsi che in parte lo sia.
Molto però è dovuto al fatto che sono precario: non posso mandare a quel paese le persone anche quando ne avrei ragione. Con eventuali clienti, eventuali colleghi e superiori devo essere morbido.
Insomma la gentilezza è opportunismo. Poi lentamente ti penetra addosso e diventi così perchè diventa abitudine. L'abitudine alla gentilezza.

E allora caro lettore di passaggio, sai che ti dico: VA A QUEL PAESE!!!

Grazie per avermi ascoltato caro lettore di passaggio e per avermi permesso di non essere gentile come la spontaneità vorrebbe.

Esistenze provvisorie

Un noto studioso di psicologia ha una volta asserito che si potrebbe definire la vita nel campo di concentramento come un esistenza provvisoria...

...In una situazione psicologica assai simile, si trova, per esempio, il disoccupato. Anche la sua esistenza è diventata provvisoria; in un certo senso, neppure lui può vivere volgendosi al futuro verso uno scopo situato nel futuro... In base a interviste psicologiche sistematiche, con minatori disoccupati abbiamo avuto occasione di studiare esattamente gli effetti di questa forma d’esistenza deformata, riguardo al « tempo interno » o « al tempo esperienziale », secondo l’accezione psicologica.

Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, Ares, pag. 122

martedì 27 ottobre 2009

viadegasperi33

Stavo pensando a che titolo dare al blog.
Volevo parlare di precariato. Non vorrei parlarne nel solito modo come di qualcosa di subito.
Vorrei provare a parlarne come di una condizione, una cornice all'interno della quale mi muovo e che non mi è sconosciuta del tutto e quindi un pò me la sento addosso. Mi ci muovo dentro insomma.
E siccome proprio a causa di questa situazione mi trovo a fare due mestieri, precari, ecco che ho pensato di utilizzare l'indirizzo -nel senso di geografico - del secondo mestiere.
Esercito una professione in una certa via de gasperi al numero trentatre di un certo paese.

Vorrei, più che di precariato, parlare di possibilità altre da quelle iniziali. Seguendo le necessità ma anche le idee. E' così per chi lascia una casa, un lavoro e parte per mondi lontani. Anche chi precaria (voce del verbo precariare: colui che esercita il precariato) lascia la staticità e inizia a galleggiare...